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fr. Alfredo Rava OFMCap

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Capitolo VIII delle Costituzioni

Il Governo del nostro Ordine

di fr. Alfredo Rava OFMCap

Da sempre nella realtà normativa dei Frati Minori (Regola Bollata, vari testi delle Costituzioni, dalle Costituzioni Cappuccine del 1536 in poi, etc.) il capitolo VII è stato riservato con titolazioni diverse, alla realtà del «Governo dell’Ordine»[1]. Rispetto alle nostre Costituzioni postconciliari (1968) è cambiato il titolo (era “il governo dell’Ordine o Fraternità”) e, a parte qualche piccola variazione, medesima è la successione degli articoli.

Il numero di apertura delle attuali Costituzioni (n. 117) ci aiuta a considerare «l’Ordine nell’ambito della Chiesa» che tutti i frati sono chiamati «ad edificare nella carità» e indica come i «capitoli» e i «superiori» (figure che esercitano la potestà di governo) debbano essere «espressione dell’unità spirituale e visibile dell’Ordine» e come siano chiamati ad agire allo scopo di alimentare «il vincolo di comunione tra i frati», esercitando l’autorità ricevuta in «spirito di servizio e con sollecitudine pastorale».

Non ci sfugga l’importanza dell’ultima frase: si indica infatti «l’estensione» dell’autorità di capitoli e superiori, autorità che è da esercitare non in modo arbitrario ma sempre in osservanza alle norme «del diritto universale e di queste Costituzioni».

Se scorriamo brevemente il titolo dei vari articoli, il capitolo VIII descrive:

- la struttura dell'Ordine (art. I): le varie “circoscrizioni” (n. 118); erezione, soppressione e variazione delle circoscrizioni (n. 119); erezione e soppressione delle case (n. 120); incorporazione dei frati all'Ordine e aggregazione ad una circoscrizione (n. 121) e collaborazione tra circoscrizioni.

- i superiori e gli uffici in genere (art. II): i superiori dell'Ordine e la relativa potestà di governo (n. 122), il conferimento degli uffici (n. 123).

- il governo generale dell'Ordine (art. III): il Capitolo generale: identità (n. 124), compiti ed elezioni (n. 125); il vicario generale (n. 126), uffici vacanti (n. 127) e la curia generale (n. 128).

- il governo delle provincie (art. IV): il Capitolo provinciale: identità (n. 129); vocali e modalità di celebrazione (n 130); Capitolo per delegati (n. 131); le elezioni o la nomina di ministro provinciale e dei consiglieri (nn. 132-133); il vicario provinciale e la vacanza degli uffici (n. 134); la curia provinciale (n. 135).

- il governo delle custodie (art. V): la custodia: identità e natura, il custode e il capitolo “«custodiale» (n. 136); il custode e il suo consiglio (n. 137); i membri della custodia (n. 138).

- il governo delle fraternità locali (art. VI): fraternità locale e il guardiano (n. 139); il vicario locale e i consiglieri (n. 140); il Capitolo locale (n. 141); gli archivi (n. 142)

- la collaborazione nell'Ordine (Articolo VII): il Consiglio plenario dell'Ordine (n. 143), le Conferenze dei superiori maggiori (n. 144), e le nostre strutture di governo per la nostra missione e vocazione (n. 145).

Nel capitolo VIII troviamo quindi i fondamenti strutturali dell'esercizio dell’autorità e della potestà di governo nel nostro ordine, ma tale realtà non è presente solamente in questo capitolo: le competenze e l'esercizio della potestà di governo sia collettiva (dei capitoli) che individuale (quella dei superiori maggiori) sono riportate in molte altre parti delle nostre Costituzioni.

In questo capitolo in sostanza si afferma «chi» esercita la potestà e che natura essa abbia, ma «come» essa si esercita, in quali circostanze e con quali «vincoli» lo si desume dal resto delle Costituzioni e dalle Ordinazioni dei Capitoli generali, documento che dobbiamo tenere in considerazione per rendere completa la nostra riflessione sul «governo del nostro Ordine».

La struttura dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini (Art. I)

Ordine, circoscrizione e fraternità locale: sono questi i «soggetti» che compongono strutturalmente i Frati Minori Cappuccini. In riferimento ad essi e ai vari passaggi durante la vita nell’Ordine, nel testo vengono utilizzati diversi termini che ora analizziamo..

All’Ordine si è «ammessi» tramite varie tappe (postulato, noviziato e professione temporanea e perpetua) dal ministro generale, oppure, in ciascuna provincia, dal ministro provinciale, che può delegare questa facoltà al vicario provinciale e al custode (cost. 20) vincolati a chiedere il parere (noviziato) o il consenso (professione) del proprio Consiglio (cost. 21).

Tramite la professione dei consigli evangelici si è «incorporati» all’Ordine (cost. 121.1 - can. 654) con diritti e doveri definiti giuridicamente: l’incorporazione è definitiva, con pieni diritti e doveri quindi, solo con la professione perpetua, i professi temporanei hanno diritti e doveri (limitati) definiti dalle nostre Costituzioni[2].

Sempre tramite le professione si è «aggregati» ad una circoscrizione dell’Ordine (cost. 118.1; 121.1) che sono «ordinariamente le province e le custodie (cost. 118.2)». Può anche cambiare la circoscrizione a cui si è aggregati: «spetta al ministro generale, con il consenso del suo Consiglio, considerati il bene di tutto l’Ordine e le necessità delle circoscrizioni o dei singoli frati, ascoltati i superiori maggiori e i loro Consigli» (cost. 121.3).

Infine si è «assegnati» ad una fraternità locale, una casa legittimamente costituita che dipende dal superiore di una circoscrizione o direttamente dal ministro generale (cost. 118.9).

In termine essere «incardinati» (nell’Ordine) viene utilizzato esclusivamente per i fratelli, già professi perpetui, che hanno ricevuto l’ordine sacro (dal diaconato cfr. cann. 265-266): tale termine (così come incardinazione) non appare nemmeno una volta nelle nostre Costituzioni.

1. Le circoscrizioni

Le circoscrizioni sono «ordinariamente le province e le custodie» (cost. 118.2), le quali si caratterizzano per tre elementi fondamentali (cost. 118.3):

1. i frati: un gruppo di frati (almeno 3 frati cost. 118.8)

2. la fraternità locale in una casa legittimamente costituita governata da una guardiano (cost. 118.8)

3. il territorio «proprio ed esclusivo» determinato nel decreto di erezione del Ministro generale (cost. 119.1).

La «provincia» è parte precipua e immediata dell’Ordine, ed è governata dal ministro provinciale (cost. 118.6). Il codice la definisce «l’unione di più case, che costituisce una parte immediata dell’istituto sotto il medesimo superiore ed è canonicamente eretta dalla legittima autorità» (can. 621): una definizione strettamente giuridica ed asciutta di provincia, che non determina criteri pratici per la sua erezione, non ne determina l’identità e l’ambito di autonomia e che varia secondo la natura e il patrimonio dell’istituto[3].

La legislazione prevede una «pluralità» di case, che da sola però non è criterio sufficiente alla erezione di una provincia, in quanto «è necessario che la pluralità diventi unità da un punto di vista giuridico. È necessaria l'unità di esse («coniunctio»). Senza tale unità le singole case non potrebbero essere considerate una nuova entità, cioè dotate di personalità giuridica»[4]. Come affermano le costituzioni (n. 118.6) «ha una consistenza propria che le consente di esprimere e sviluppare la vitalità del nostro carisma, per una efficace testimonianza apostolica e ad utilità della vita dell’Ordine».

A garanzia di tale unità viene posto un superiore, detto «ministro provinciale», anch’esso «superiore maggiore», con la potestà necessaria per governare la provincia come parte immediata dell’istituto (cost. 118.6 – 122.1).

Perché tali elementi costitutivi essenziali portino all’erezione della provincia è necessario un decreto formale, dato per iscritto, dall’autorità competente a norma delle costituzioni (can. 581 e cost. 118.5).

La «custodia» (che sostitusce la vice provincia) è una parte dell’Ordine nella quale i frati, posti a servizio delle Chiese e dei loro pastori nell’opera evangelizzatrice, gradualmente sviluppano la presenza della vita consacrata mediante l’impegno per la implantatio Ordinis. Essa è distinta in custodia provinciale, se è affidata ad una provincia o custodia generale, se dipende in modo immediato dal ministro generale (cost. 136.1). I principali elementi che la caratterizzano sono: un gruppo di frati, la dipendenza da una provincia, la vita missionaria in un preciso territorio, un “responsabile” detto «custode».

Un’altra struttura che viene considerata nella nostra legislazione è la «delegazione» (ord. 8/25) il cui «fine è quello di assicurare la vita fraterna in un’area geografica dove, pur essendoci più presenze, non ci sono però le condizioni necessarie e sufficienti per erigere o mantenere una circoscrizione». Eretta sempre dal ministro generale con il consenso del proprio Consiglio (ord. 8/25,3) è caratterizzata da alcuni elementi: la transitorietà, un gruppo frati, la dipendenza da una provincia, un superiore «delegato» dal Ministro provinciale, che non è superiore maggiore, che abbia le deleghe necessarie a facilitare il governo pratico, pastorale e amministrativo della delegazione con una certa autonomia di funzionamento interno del gruppo (ord. 8/25,6).

In circostanze particolari poi il ministro generale, osservate le condizioni per la variazione delle circoscrizioni, può anche costituire una federazione di più province, dotata di uno statuto proprio. Tale figura giuridicacomporta l’unificazione del governo: un unico ministro provinciale, con il suo Consiglio, che ha giurisdizione su tutte le province federate (ord. 8/2).

La potestà di governo nel nostro Ordine (Art. II-III-IV)

In tutti gli istituti religiosi sono due i «soggetti» che godono di potestà, i superiori e i capitoli, che «hanno sui membri quella potestà che è definita dal diritto universale e dalle costituzioni»: (can. 596 § 1).

Il servizio dell’autorità è in funzione del carisma stesso del fondatore: «I superiori dei religiosi hanno il grave compito, assunto come prioritaria responsabilità, di curare con ogni sollecitudine la fedeltà dei confratelli verso il carisma del fondatore»[5]perché «l’autorità dell’istituto non ha solo il compito di organizzare la vita dell’istituto, ma soprattutto quello di accompagnare il cammino della fedeltà dello stesso e delle singole persone al progetto di Dio e della Chiesa sull’istituto»[6].

I Frati Cappuccini sono un istituto religioso clericale di diritto pontificio (anche se ciò non è riportato in nessun punto delle nostre Costituzioni); il can. 596 § 2 stabilisce che, in tali istituti, i due soggetti suddetti, oltre alla potestà comune, hanno «inoltre [insuper] la potestà ecclesiastica di governo, tanto per il foro esterno quanto per quello interno».

Nel nostro Ordine quindi abbiamo l’esercizio di una potestà personale, quella dei superiori (ministro generale, provinciale e custode) che è in «atto» ordinariamente ed una potestà collegiale, quella dei Capitoli (generale, provinciale e custodiale) che agisce limitatamente alla loro durata (in modo straordinario): sono due forme di governo complementari e nessuna può essere esercitata in modo esclusivo[7].

1. La potestà personale: i ministri generale e provinciale e i loro vicari

Le nostre Costituzioni (122.1) stabiliscono che sono superiori con potestà «ordinaria propria»: il ministro generale in tutto l’Ordine, il ministro provinciale nella sua provincia e il superiore locale o guardiano nella sua fraternità, mentre godono di potestà «ordinaria vicaria»: il vicario generale, il vicario provinciale, il custode e il vicario locale (122.2). Aggiunge il n. 122.3 che «tutti questi, eccetto il superiore locale e il suo vicario, sono superiori maggiori».

A nostro giudizio la dicitura riportata dalle nostre Costituzioni va meglio spiegata, al fine di chiarire meglio in contenuto e la natura della potestà di cui godono i diversi soggetti. 

Come abbiamo già accennato, nel nostro Ordine i superiori maggiori godono di potestà ecclesiastica di governo (can. 596 § 2) e sono considerati «Ordinari» come i vescovi diocesani, limitatamente ai membri dell'Istituto religioso. A norma del canone 134 § 1 con il nome di Ordinario si intendono anche i superiori maggiori degli istituti religiosi, e proprio in quanto Ordinari godono di potestà «ordinaria» (che è la proprietà annessa ad un ufficio ecclesiastico esercitata in nome proprio o vicario – cfr. can. 129§2).

Pare quindi strano che cost. 122.1 affermi che godono di potestà «ordinaria propria» anche il superiore locale o guardiano e di potestà «ordinaria vicaria» anche il vicario locale. Questi infatti, a norma di cost. 122.3 non sono superiori maggiori e quindi non rientrano nella categoria degli Ordinari; di conseguenza non godono, a nostro giudizio, di potestà «ordinaria», ma solo di quella potestà comune riconosciuta loro dalle nostre costituzioni.

Come già accennato, il Ministro generale governa l’intero istituto (è detto anche «moderatore supremo») e chi governa la provincia è il «ministro provinciale» (cfr. anche can. 620); l’estensione dell’esercizio della potestà è regolato dal can. 622, dove si stabilisce che «il moderatore supremo ha potestà, da esercitare secondo il diritto proprio, su tutte le province dell’istituto, su tutte le case e su tutti i membri; gli altri superiori godono di quella potestà nell’ambito del proprio incarico».

Essi vengono eletti ordinariamente durante i rispettivi Capitoli (cost. 125.2; 132.1). Il ministro provinciale (e il vicario) però possono anche essere nominati dal Ministro generale ma solo per gravi motivi (133, 1)[8].

In merito a quale tipologia potestà di governo essi esercitino, ossia se legislativa, esecutiva e giudiziale, i superiori maggiori nell’esercizio personale di tale potestà, godono solo di quella esecutiva e di quella giudiziale. La potestà legislativa infatti negli istituti religiosi, come vedremo, è normalmente esercitata a livello collegiale e non è prerogativa della potestà personale.

La potestà giudiziale è riservata ai superiori o agli organismi designati a tale scopo dal diritto proprio: a norma del can. 1427 §§ 1-2 infatti, il superiore maggiore (moderatore supremo o provinciale) giudica le cause interne del proprio istituto religioso ed ha anche la facoltà di avviare un processo penale, a norma dei cann. 1717ss, nei confronti dei membri dell’istituto.

Il ministro generale e il ministro provinciale esercitano soprattutto potestà esecutiva, per i rispettivi ambiti di competenza (sui membri o le case di tutto l’istituto o di una sua parte): lo specifico contenuto di tale potestà è disseminato nei vari numeri delle costituzioni, nelle varie situazioni in cui la decisone è riservata alla potestà personale del superiore maggiore, tenuto conto anche del diritto universale. I rispettivi ministri sono anche i primi amministratori dei beni tem­porali dell’Ordine o della Provincia

I vicari (generale e provinciale) si è detto che godono di potestà «ordinaria vicaria». Per comprendere meglio, andiamo in dottrina dove si distingue tra il “vicario” che è sempre «in atto» (vicario generale o episcopale in una diocesi) o “vicario” che opera solamente in caso di supplenza.

I «nostri» vicari sono qui intesi «in senso stretto»: essi esercitano la potestà di governo (vicaria) in quanto superiori maggiori solamente nel tempo in cui sono chiamati a sostituire i superiori titolari dell’ufficio»[9] nel caso in cui questi siano assenti, impediti o sia cessato il loro incarico per diverse cause (dimissione, privazione o decesso): cfr. cost. 126.1,3; 127.1-4; 134.1-3. Anche i «vicari» (generale e provinciale) vengono eletti ordinariamente durante i rispettivi Capitoli (cost. 125.6; 132.4).

In modo diverso si intende l’esercizio della potestà di governo «ordinaria vicaria» di cui gode il custode: essa è una potestà sempre in atto, che il custode esercita a nome del ministro generale (nelle custodie generali) o a nome del ministro provinciale (nelle custodie provinciali) e la cui estensione è espressa e gli è riconosciuta dalle nostre Costituzioni (es. cost. 136.6-7); oltre a questa il relativo ministro deve conferire a lui per iscritto le facoltà che gli vengono delegate e indicare quelli che il ministro riserva per sé[10].

I superiori maggiori, nell’esercizio della loro potestà, a norma del can. 627 § 1 «devono avere un Consiglio a norma delle costituzioni e nell’esercizio del proprio ufficio siano tenuti a valersi della sua opera»: tale coetus «non è un organismo di governo, ma di collaborazione al governo, mediante l’apporto del parere o del consenso che esso è chiamato a dare: è propriamente un organismo di consultazione e di partecipazione. I consiglieri non sono propriamente superiori. Il Consiglio non è una persona giuridica, ma semplicemente un «coetus» o gruppo di persone che vengono chiamate a prendere posizione in unità ed insieme e il loro modo di procedere non è propriamente collegiale»[11]. Il Consiglio generale del nostro Ordine agisce in modo collegiale solo nei casi previsti (cfr. can. 699 §1; OCG 4/6, 6/8, 6/9[12]) mentre il Consiglio provinciale solo in un caso (Cost. 134,5[13]).

I consiglieri vengono eletti ordinariamente durante i rispettivi Capitoli (cost. 125.5; 132.3) oppure nominati se da sostituire o vi fossero gravi motivi (Cost. 133.1) .

Tutti gli atti di governo che vengono posti nel nostro Ordine sono propriamente atti del «superiore» (Ministro generale o provinciale) il quale, nei casi previsti dalle Costituzioni e dal diritto comune, è vincolato all’intervento del proprio Consiglio per poterli porre.

Il can. 627 § 2 dice che: «Oltre ai casi stabiliti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è richiesto il consenso oppure il consiglio, a norma del can. 127». Il can. 127 § 1 prescrive che il «consenso» è l’approvazione da parte della maggioranza assoluta del collegio o del gruppo di persone presenti al momento della richiesta. La formulazione di tale norma è risultata non chiara e il dubbio era: il superiore che necessita di ottenere il « consenso» partecipa o no al voto?

A tal proposito la Pontificia Commissione per l'interpretazione autentica del Codice, interpretata per tale dubbio ha risposto «negativamente», cioè che il Superiore né può determinare la maggioranza con il suo consenso, né può dirimere la parità con il suo suffragio[14]. La ragione di tale risposta sta nel fatto che il can. 127 presenta la persona giuridica o il gruppo di persone come distinti dallo stesso Superiore che chiede il consenso.

La prassi però di molti istituti religiosi è che il Superiore maggiore sia considerato «parte» del Consiglio e partecipi a formare la maggioranza con il voto, e per diversi autori, il fatto che il can. 627 utilizzi la frase «a norma delle costituzioni» ciò lascia al diritto proprio determinare la cosa e tolga forza all’interpretazione autentica.

Per meglio tentare di chiarire la questione, visto che le nostre costituzioni non affrontano esplicitamente la cosa, riporto una breve ma precisa sintesi di V. De Paolis, molto utile per agire concretamente. Diverse sono le ipotesi e le prassi:

a) Il Superiore viene considerato distintamente dal suo consiglio; conseguentemente egli non concorre a formare la maggioranza richiesta dello stesso consiglio: in questo caso si applica rigorosamente il can. 127.

b) Il Superiore viene considerato distintamente dal suo consiglio e non concorre a formare la maggioranza, ma egli può dirimere la parità con il suo voto.

c) Il Superiore forma, per l'atto da porre, gruppo con il suo consiglio, sì che l'atto viene posto in modo collegiale dal gruppo stesso, compreso il Superiore, in analogia con quanto prescrive il can. 699,

d) Il Superiore viene considerato membro del gruppo solo per formare la maggioranza necessaria [il consenso necessario] perché egli possa porre un atto, che spetta a lui soltanto. È questa la prassi corrente e che sembra la più rispondente alle esigenze della vita religiosa. Ci soffermiamo pertanto a spiegarla più diffusamente.

Nei casi dove il Superiore per agire ha bisogno del consenso del consiglio, bisogna distinguere due atti: l'atto che il Superiore è chiamato a porre, e l'atto con cui il consiglio dà il suo consenso al Superiore per esso. Il primo atto è di competenza del Superiore; a lui soltanto spetta; egli ne porta la responsabilità come Superiore. Però perché possa agire, il Superiore ha bisogno del consenso del suo consiglio: la formazione del consenso è un atto previo, un requisito necessario per la stessa validità dell'atto del Superiore.

Nella formazione di questo atto previo, il Superiore può essere considerato membro del suo consiglio. Nel formare questo atto previo, il consiglio agisce con procedura collegiale, analogamente alla procedura prescritta per la dimissione del religioso, a norma del can. 699 § 1.

Di fatto nell'ipotesi di cui stiamo parlando, abbiamo una procedura collegiale nella formazione del consenso, cioè nell'atto previo alla decisione del Superiore. ln questo modo, il Superiore pondera e valuta insieme con il suo consiglio, formando unità con esso, le ragioni pro o contro una determinata decisione da prendere: a conclusione della valutazione fatta insieme, si viene alla decisione di dare o no il consenso.

In questa prospettiva si capisce perché il Superiore deve necessariamente convocare il consiglio, quando ne deve richiedere il consenso. La sua formazione infatti avviene al termine di un confronto reciproco, dove ciascuno viene arricchito dalle ragioni dell'altro: cosa possibile soltanto dove si discute insieme e ciascuno sente le ragioni dell'altro.

Dato il consenso da parte del consiglio [nel caso in cui si voti, il Superiore non partecipa], il Superiore è in grado di assumersi le sue responsabilità come Superiore, prendendo le sue decisioni. Egli ha il via libera con il consenso del suo consiglio, ma non è tenuto ad agire: può agire. L'obbligo di agire, se c'è, non viene dal fatto che ha ottenuto il consenso del suo consiglio, lui compreso, ma dalla necessità, che può derivare da altra fonte, di prendere una decisione in materia.

In questa prospettiva si capisce il significato del § 3 del canone 127: «Tutti quelli il cui consenso o consiglio è richiesto, sono tenuti all'obbligo di esprimere sinceramente la propria opinione, e, se la gravità degli affari lo richiede, di osservare diligentemente il segreto; obbligo che può essere sollecitato dal Superiore».

La legislazione chiede che nei casi di maggiore rilievo il Superiore abbia il consenso o il parere del suo consiglio, perché la decisione possa essere presa con ponderazione, dopo aver valutato tutte le ragioni da parte di tutti. Per questo è necessario che chi deve dare il parere o il consiglio sia a conoscenza dei fatti nel modo più oggettivo e ampio possibile. Ognuno è chiamato a dare la sua valutazione di essi, secondo il suo modo di vedere, con sincerità e oggettività.

Solo così il confronto risulta arricchente e può offrire al Superiore tutti gli elementi necessari che lo aiutino a fare una scelta. Perché sia possibile che tutti i fatti vengano messi a conoscenza di tutti i membri del consiglio e perché ognuno sia libero di esprimere la propria opinione, è necessario il segreto, segno di rispetto della fama di persone che possono essere coinvolte, sia di rispetto delle persone che esprimono liberamente le proprie opinioni, sia di rispetto del Superiore che poi è chiamato ad assumersi la responsabilità della decisione, per la quale si è chiamati a dare il consenso o il parere[15].

2. La potestà collegiale: i Capitoli generale e provinciale

«Il Capitolo, ad ogni livello, è un organo collegiale temporaneo ed esercita la propria autorità secondo le competenze che gli sono riconosciute dalle Costituzioni»: tale definizione le nostre OCG (ord. 8/7) contiene diversi elementi utili a capire la natura del «soggetto» di potestà collegiale del nostro Ordine.

Primariamente, come già accennato, qui viene detto che la sua azione e l’esercizio della potestà di governo sono temporanei: dura il tempo della sua celebrazione.

Poi si esprime la «misura» della propria autorità: «secondo le competenze che gli sono riconosciute dalle Costituzioni». Tale espressione ci aiuta capire che cosa si intende che «il Capitolo generale gode della suprema autorità nell’Ordine» (cost. 124.1) e che «la prima autorità della provincia compete al Capitolo provinciale» (cost. 129.1).

a. Il Capitolo generale

Sul Capitolo generale pare importante dire che «suprema autorità» non è da intendere chiaramente nel senso di una potestà di disporre e decidere su tutto, ma solo «a norma delle Costituzioni» (cfr. can. 631 § 1), e quindi in dipendenza anche dall’autorità ecclesiastica[16] che fa la «recognitio» del codice fondamentale.

Il Capitolo generale è un organo autoritativo collegiale, che consta di più persone fisiche operanti su un piano di parità, in rappresentanza e come espressione di tutto l’istituto «indetto a determinate scadenze, per provvedere alla vitalità della Famiglia Religiosa mediante elezioni e la trattazione di problemi inerenti all’incremento spirituale, formativo, apostolico dei membri e delle attività»[17] dell’istituto, con la peculiarità dell’esercizio della potestà legislativa. Riguardo al loro modo di agire si applicano ad essi le norme che regolano le persone giuridiche collegiali[18], essendo «un collegio vero e proprio, la cui azione viene determinata dai membri, che concorrono nel prendere le decisioni a norma del diritto universale e proprio»[19].

Il can. 631 § 1 elenca le competenze del capitolo generale: 1) tutelare il patrimonio dell’istituto di cui al can. 578; 2) promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi; 3) eleggere il moderatore supremo; 4) trattare gli affari di maggiore importanza; 5) emanare le norme particolari dell’istituto, che tutti (i membri) sono tenuti ad osservare[20]: tali contenuti sono espressi per noi in cost. 125.1[21].

La potestà del Capitolo generale, come potestà di governo ecclesiastica è legislativa, esecutiva e giudiziale. Il capitolo generale ha il compito di emanare norme vincolanti per tutto l’istituto: tale potestà normativa esiste in tutti gli istituti religiosi ma «in quelli clericali di diritto pontificio si chiama legislativa e fa parte della giurisdizione ecclesiastica»[22]: si tratta di una «vera potestà legislativa», che si esprime specificatamente con la promulgazione delle Costituzioni o codice fondamentale[23] (can. 587 §§ 1,2,3), che sono sempre da sottoporre all’approvazione dell’autorità ecclesiastica[24].

Sempre il Capitolo generale ha potestà di: integrare le Costituzioni, cambiarle, derogarvi o abrogarle, secondo le esigenze dei tempi, per favorire una certa continuità in vista di un adeguato rinnovamento, salva tuttavia l’approvazione della Santa Sede (cost. 186.1).

Il capitolo generale, gode anche di potestà esecutiva, dato che è sua tutta la potestà di governo (cfr. can. 596 § 2) e questo si esprime in particolare nell’elezione del Ministro generale e dei Consiglieri (nel Capitolo ordinario). Gli autori sottolineano che «tradizionalmente, l’esercizio di tale potestà è riservata, dal codice fondamentale degli stessi istituti, ai superiori maggiori come potestà personale, coadiuvati dai loro rispettivi consigli»[25].

Dalle nostre Costituzioni però emergono che alcuni atti di potestà esecutiva sono di competenza del Capitolo generale[26].

In linea teorica il Capitolo generale, gode anche di potestà giudiziale[27]: le nostre Costituzioni non specificano con precisione tale ambito. Solo si dice che «tutte le questioni di diritto contenzioso sia tra i religiosi che tra le case o tra le circoscrizioni dell’Ordine vengono risolte nella carità a norma del diritto e del nostro Modus procedendi».

b. Il Capitolo provinciale

Per quanto riguarda invece il Capitolo provinciale, il Codice non contiene norme universali che lo regolino, ma rimanda al diritto proprio, al quale spetta determinare con esattezza la natura, l’autorità di cui gode, la composizione, il modo di procedere e il tempo della celebrazione di tale realtà (cfr. can. 632).

Ricordiamo che per ord. 8/7 «il Capitolo, ad ogni livello, è un organo collegiale temporaneo ed esercita la propria autorità secondo le competenze che gli sono riconosciute dalle Costituzioni» e che al capitolo provinciale compete la prima autorità della provincia (cost. 129.1). Ciò va interpretato in tale ottica: il Capitolo provinciale è la «prima autorità» della provincia a norma delle Costituzioni, rappresentativo della provincia come vero segno della sua unità nella carità. Deve tutelare il patrimonio dell’istituto incarnato in un determinato luogo, tenendo conto di quanto stabilito nel Capitolo generale, favorendo quel rinnovamento promosso a livello centrale e trattando gli affari di maggiore importanza della provincia (cost. 129.4).

Tra i compiti più importanti (nel capitolo ordinario) vi è l’elezione del ministro provinciale e del suo Consiglio (cost. 132) che, come già detto, in casi particolari e per gravi motivi possono essere nominati dal ministro generale con il consenso del suo Consiglio (cost. 133.1) previa consultazione dei membri della Provincia stessa.

Una novità delle nuove Costituzioni riguarda la durata del «servizio» a ministro provinciale o custode ed è contenuta in ord 8/21: nessun frate può assumere tali uffici «per più di tre mandati consecutivi, in qualunque modo legittimo tale ufficio gli sia stato conferito; dopo il terzo mandato consecutivo è esclusa la possibilità di elezione, nomina o postulazione»[28].

Altra novità riguarda la composizione del Capitolo provinciale: esso si può celebrare a suffragio diretto (con la partecipazione di tutti i frati di voti perpetui), o per delegati (che rappresentano tutta la provincia - cost. 130.2), secondo quanto previsto dalle Ordinazioni dei Capitoli generali, per le quali al n. 8/18, 1 si prewscrive che «le province con cento o meno frati celebrano il Capitolo a suffragio diretto; le province con numero di frati superiore a cento celebrano il Capitolo per delegati». È previsto il contrario in entrambi i casi ma solo a certe condizioni.

Ord. 8/19 stabilisce poi che sono privati di voce attiva e passiva nei Capitoli i frati che sono stati dichiarati assenti illegittimi, chi ha presentato la domanda di esclaustrazione, di dispensa dai voti religiosi e dagli oneri connessi alla sacra ordinazione e parimenti i frati che hanno presentato la domanda di assenza dalla casa religiosa possono esserne privati dal ministro provinciale, con il consenso del suo Consiglio[29].

In merito alla potestà di governo il Capitolo provinciale, senza dubbio, non gode di alcuna potestà legislativa, in quanto tocca a quello «generale» emanare il codice fondamentale. Gode di potestà esecutiva per le elezioni, per l’approvazione del regolamento per la propria celebrazione, nel prendere le decisioni che le Costituzioni demandano alle provincie o nello «stabilire degli statuti particolari» (tra cui eventualmente quello economico) che poi debbono «essere approvati dal ministro generale con il consenso del suo Consiglio» (cost. 186.4)[30].

Il governo delle custodie (Art. V)

La custodia è una circoscrizione dell'Ordine affidata ad una provincia o per circostanze particolari dipende direttamente dal ministro generale, a cui si applica per analogia la stessa normativa (cost. 136).

Nelle nuove costituzioni vi è una novità: spariscono le «viceprovince» provinciali e generali e l'unica circoscrizione oltre alla provincia è la custodia.

Come abbiamo già accennato a ciascuna custodia è preposto un superiore, il custode (che ha il proprio consiglio da convocare nei casi previsti dalle Costituzioni), che ordinariamente viene eletto nel capitolo (cost. 136.4) o in casi straordinari nominato dal ministro provinciale (cost. 136.11). Egli, come già detto, nella sua autorità personale gode di potestà ordinaria vicaria, sulla cui natura abbiamo già riflettuto in precedenza, che acquisisce dal momento della conferma della sua elezione (cost. 136.6)[31].

Ad essa possono essere aggiunte delle facoltà, delegate a lui dal ministro provinciale[32] (cost. 136.3): tali facoltà si aggiungono alla potestà ordinaria vicaria di cui gode il custode allo scopo di favorire il governo quotidiano della circoscrizione, soprattutto se essa si trovi lontano dalla provincia. Lo stesso discorso vale per le custodie che dipendono direttamente dal ministro generale.

Ogni custodia ha il suo Capitolo ordinario elettivo e se opportuno anche quello straordinario, che il custode deve indire ottenuto il consenso del relativo ministro, Capitolo che, oltre a tratta dei problemi inerenti alla propria realtà, deve anche redigere il regolamento per la propria celebrazione e lo statuto della custodia (cost. 136.8).

Appartengono alla custodia tutti i frati ad essa aggregati, o inviati a tempo determinato o che in essa hanno emesso la professione (Cost. 138,1). La provincia è tenuta, se possibile, ad inviare alla custodia i religiosi necessari ad stessa e nello sceglierli tenga in considerazione le particolari attitudini dei frati in relazione al luogo, alla formazione dei frati e all’apostolato da esercitarvi (cost. 138.3-4).

Il governo delle fraternità locali (Art. VI)

Ogni fraternità locale è «governata» da un guardiano, nominato dal ministro provinciale con il consenso del suo Consiglio, a cui compete costituire le fraternità.

I guardiani godono di quella «potestà» riconosciuta loro dalle Costituzioni (can. 596 §1), indicati primariamente come animatori della fraternità (cost. 140.5): il contenuto concreto di tale potestà si può recepire in diversi punti delle costituzioni[33].

Il guardiano è coadiuvato da un vicario che normalmente gode di una potestà «supplente», che diventa «effettiva» se il guardiano è assente, impedito o l’ufficio sia vacante (cost. 140.1). Dove il numero dei frati (almeno 6) lo prevede, è necessario formare un Consiglio di fraternità (guardiano, vicario e consigliere/i) che ha il compito di aiutare il guardiano nelle cose materiali e spirituali, che se previsto dalle costituzioni o da statuti propri, può diventare un vero e proprio «consenso».

Un ruolo importante lo ricopre il Capitolo locale, con i compiti bene espressi in cost. 141.2 e che è composto da tutti frati professi. In esso possono svolgersi votazioni o elezioni di vario genere (come quella a consigliere). Quando sono consultive, alle votazioni partecipano tutti, mentre alle elezioni e alle votazioni per l’ammissione di un candidato alla professione perpetua, sono esclusi i professi temporanei.

La collaborazione nell’Ordine (Art. VII)

L’articolo conclusivo del cap. VIII riguarda il Consiglio plenario e le Conferenze dei Superiori maggiori, presentati come importanti strumenti di collaborazione tra le varie realtà dell’ordine.

Il primo (CPO) è un organo consultivo con la funzione di esprimere il rapporto vitale fra l’intera Fraternità e il governo centrale dell’Ordine, di promuovere la coscienza di tutti i frati alla corresponsabilità e alla collaborazione, di favorire l’unità e la comunione dell’Ordine nella pluriformità. Esso viene convocato dal governo centrale (cost. 143.3) e rappresentativo di tutte le Conferenze dell’Ordine. Potremmo dire che, con le debite differenze, svolge la funzione del Sinodo dei Vescovi, come organo di partecipazione alla potestà del Romano Pontefice.

Convocato dal Ministro generale, con il consenso del Consiglio, al termine dei lavori, ogni CPO elabora delle conclusioni, da cui il ministro generale può trarre indicazioni operative per tutto l’Ordine.

Le Conferenze dei Superiori maggiori sono organi di animazione e collaborazione in una doppia direzione: una «orizzontale» nel promuovere la collaborazione sia delle circoscrizioni fra loro sia con gli altri organismi ecclesiali e nel garantire, per quanto è possibile, l’unità di azione e di apostolato su uno specifico territorio e l’altra «verticale» per favorire la responsabilità di ciascun ministro nei confronti dell’Ordine e la collaborazione tra il ministro generale e i singoli ministri delle circoscrizioni[34].

Cost. n. 144 stabilisce che le Conferenze sono costituite dal ministro generale con il consenso del suo Consiglio e che sono formate dai ministri provinciali e dai custodi di un territorio, a cui per ord. 8/30 partecipano anche i rappresentanti delle delegazioni e delle domus presentiae del territorio, come, di diritto anche, i consiglieri generali delegati dal ministro generale. Tutti questi non hanno diritto di voto.

Una cosa molto importante è che per provvedere al bene dell’Ordine, sia gli statuti che il ministro generale possono prevedere o autorizzare le singole Conferenze a dotarsi di norme speciali per i frati e le circoscrizioni del proprio territorio, che per essere valide, devono essere approvate all’unanimità da tutti i ministri della Conferenza, avuto il consenso dei loro rispettivi Consigli, e approvate dal ministro generale con il consenso del suo Consiglio (cost. 144.5)

Conclusione

Non penso vi sia conclusione migliore a questa riflessione sul capitolo VIII delle nostre Costituzioni, che riportare integralmente il n. 145, quello conclusivo:

Le strutture di governo dell’Ordine e le sue istituzioni sono anch’esse espressione della nostra vita e vocazione, e accompagnano il cammino della nostra Fraternità lungo la storia. Benché soggette al limite di ogni istituzione temporale, esse ci aiutano a sviluppare il senso di appartenenza alla nostra Famiglia e ne qualificano la vita e la missione. Accogliamole, dunque, in spirito di fede e con semplicità come concreta possibilità di crescita personale e di aiuto vicendevole, cercando in ogni cosa il bene comune, il servizio alla Chiesa e al Regno di Dio.


Bibliografia essenziale sull’argomento

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[1] Cfr. Polliani F., Le nuove costituzioni dei Frati Minori Cappuccini, Milano 2015, p. 254. L’autore fa notare che: «In questi ultimi decenni, in ragione dello sviluppo dell’Ordine e della sua attuale situazione, si è presentata l’istanza di un più realistico adeguamento della nostra legislazione alle mutate condizioni dell’Ordine. Già il Capitolo generale del 1994 aveva sentito la necessità di uno “studio più globale del capitolo ottavo”».

[2] Non pare superfluo puntualizzare che spesso utilizziamo la dicitura «professione dei voti». Per precisare meglio in realtà la consacrazione è operata tramite il professare «i consigli evangelici», mentre i voti sono solamente i vincoli giuridici attraverso i quali vengono assunti i consigli evangelici stessi. Negli ordini religiosi come il nostro, essi sono voti pubblici (cfr. cann. 1191-1192)

[3] Cfr. Rava A., La potestà di governo nel rapporto tra il Capitolo e il Superiore maggiore in un istituto religioso clericale di diritto pontificio diviso in provincie, in Quaderni di Diritto Ecclesiale (2019) 284-285.

[4] De Paolis V., La vita consacrata nella Chiesa, Venezia 2010, p. 353.

[5] Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari - sacra congregazione per i vescovi, note direttive Mutuae relationes [= MR], 14 maggio 1978, n. 14, in EV 6, n. 619. Cfr. De Paolis V., La vita consacrata nella Chiesa, cit., pp. 231-232.

[6] De Paolis V., Il governo della vita consacrata, in Governo fraterno, a cura di Gurciullo G. – Strino E., ed., Bologna 2018, p. 88. Segnaliamo tale volume dove si possono trovare altri interessanti riflessioni in merito al governo: il rapporto autorità-obbedienza (L. Gaetani) la Dimensione antropologica del governare (F. Alberoni) la Prospettiva ecclesiologica (N. Galantino) e giuridica (P. Gherri) del governare.

[7] Cfr. Luisi M., Gli istituti misti di vita consacrata. Natura, caratteristiche e potestà di governo. Ariccia 2014, p. 16. «rende immediatamente evidente come il governo degli istituti sia eminentemente di due generi: il primo viene esercitato mediante un’autorità di tipo personale, costituita dai superiori; il secondo invece è di carattere collegiale e viene esercitato attraverso organi pluripersonali quali appunto i capitoli. Queste due forme di governo sono complementari e nessuna può essere esercitata in modo esclusivo». Cfr. anche: Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, Decretum circa regiminis ordinarii rationem et religiosi sæcularizati accessum ad officia et beneficia ecclesiastica, 2 febbraio 1972, in AAS 64 (1972) 393-394; De Paolis V., La vita consacrata…,cit., p. 232. Il quale afferma «il governo dell’istituto non è mai semplicemente e puramente collegiale o personale […] si può pertanto parlare di un governo personale con dimensione di collegialità e di un governo collegiale che rinvia ad un governo personale».

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[8] Cost. 133.1: «Per gravi motivi il ministro generale, con il consenso del suo Consiglio, può nominare il ministro provinciale e i consiglieri, dopo aver ottenuto per iscritto il voto consultivo di tutti i frati di voti perpetui della provincia. Però tale procedura non può essere applicata per due volte consecutive».

[9] Calabrese A., Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, Città del Vaticano 20103, p. 97.

[10] Cfr. De Paolis V., La vita consacrata…, cit., p. 349: «I vicari tuttavia hanno un diversa configurazione nel diritto proprio. Vi sono vicari che hanno ed esercitano la potestà sempre, cumulativamente, anche se subordinatamente, al Superiore. Altri hanno la potestà e la esercitano soltanto nei casi previsti dal diritto, come, per esempio, quando il Superiore è assente o impedito. Nel primo caso il vicario è sempre Superiore maggiore ed ha le facoltà annesse all'ufficio. Nel secondo caso invece è Superiore maggiore soltanto quando è in esercizio, perché è soltanto in quei casi che è Superiore».

[11] Cfr. De Paolis V., La vita consacrata…, cit., p. 369.

[12] Il Consiglio generale agisce collegialmente: a) Can. 699§1 nella valutazione delle prove in caso di dimissione di un religioso; b) Ord. 4/6: per decidere sull'uso dei beni di una circoscrizione soppressa; c) Ord. 6/8: per associare all’Ordine un monastero di Clarisse Cappuccine; d) Ord. 6/9 per aggregare all’Ordine un istituto di vita consacrata.

[13] Se […] si rende vacante l’ufficio di vicario provinciale, si ricostituisca prima il numero dei consiglieri, poi il ministro provinciale con il suo Consiglio eleggano in forma collegiale e a scrutinio segreto un altro vicario provinciale dall’interno del Consiglio. Di questo si informi il ministro generale.

[14] Pontificia commissione per l'interpretazione autentica dei canoni del codice, Risposta II, 14 maggio 1985, (AAS 77 [1985] 771) 1 agosto 1985: EV 9/1661.

[15] De Paolis V., , La vita consacrata…, cit., p. 372-373. Cfr. anche Etsi P., Attività di governo e prassi della consultazione negli istituti di vita consacrata. Una lettura dei canoni 627 e 127 del Codice di Diritto Canonico, Roma 2001; Gardin A., Il rapporto tra il Superiore Generale e il suo consiglio, in Informationes Scris 29 (2003) 53-70.

[16] Cfr. Iannone F., Il Capitolo generale. Saggio storico giuridico, Napoli 1988, p. 66. L’autore alla nota 2, p. 66, fa notare che «è da tener presente che la Suprema Auctoritas, esterna quanto interna, degli Istituti religiosi è il Papa (cfr. can. 590 § 1). È vero Superiore nel senso stretto del termine, è il vertice della gerarchia interna dell’Istituto al punto che i membri di esso gli debbono obbedienza anche in forza del vincolo sacro di obbedienza» (can. 590 § 2). È questo il motivo per cui a noi sembra non estremamente corretta l’espressione del canone: «II capitolo generale... ha nell’istituto la suprema autorità» anche se nello stesso canone il Legislatore l’attenua aggiungendovi la clausola «a norma delle costituzioni», che sono il testo fondamentale del diritto proprio e che devono essere approvate dall’effettiva Suprema Autorità (cfr. can. 587 § 2).

[17] Sacra congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Natura e Finalità dei Capitoli Generali, in Informationes SCRIS 2 (1976) 216.

[18] Cfr. Montan A., Gli Istituti di Vita Consacrata, in Il Diritto nel Mistero della Chiesa, II, Roma 19902, p. 271.

[19] Sacra congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Natura e Finalità …, cit., p. 131.

[20] Cfr. Montan A., Gli Istituti di Vita Consacrata, cit., p. 273, il quale afferma che «si tratta ovviamente di un elenco aperto. Altri compiti potranno essere aggiunti dal diritto proprio dei singoli istituti».

[21] Cost. 125,1: Nel Capitolo generale, sia ordinario che straordinario, venga trattato quanto si riferisce alla fedeltà alle nostre sane tradizioni, al rinnovamento della nostra forma di vita, allo sviluppo dell’attività apostolica, nonché altri temi di grande importanza per la vita dell’Ordine, sui quali tutti i frati devono essere precedentemente consultati.

[22] Calabrese A., Istituti di vita consacrata …, cit., p. 152. «Il Capitolo si configura quale assemblea collegiale rappresentativa di tutto l’Istituto [...] l’autorità di cui gode il Capitolo generale è interna all’Istituto [...] come tale, è munita dalla Chiesa del potere di legiferare o di dare norme vincolanti [...]. Questa facoltà deliberativa caratterizza il Capitolo e lo distingue da qualsiasi altro tipo di assemblea, riunioni generali, congressi o simili che [...] restano sempre organi di consultazione» (Sacra congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Natura e Finalità …, cit., pp. 216-217).

[23] «Assurgono […] al rango di leggi i codici fondamentali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio, in quanto fatti e promulgati da una autorità che ha il potere legislativo» (De Paolis V., Il primo libro del codice: norme generali [cann. 1-203], in Il Diritto nel Mistero della Chiesa, I, Roma 19953, p. 362).

[24] «La competenza del Capitolo generale sulle Costituzioni, la cui approvazione è riservata alla Suprema Autorità della Chiesa è in conseguenza del suo essere la massima autorità all’interno dell’Istituto».

[25] Iannone F., Il Capitolo generale…, cit., p. 150; Calabrese A., Istituti di vita consacrata …, cit., p. 66. Il Capitolo generale potrebbe emanare decreti (o precetti) generali esecutivi (can. 31 § 1) e istruzioni (can. 34 § 1) anche in ambito della gestione dei beni patrimoniali dell’istituto e anche il Regolamento per la celebrazione del Capitolo generale o particolari statuti..

[26] Vedi n. 65 decide sul modo di osservare la povertà; n.124,2 si dà un Regolamento per la sua celebrazione; n. 128,3 approva lo statuto della curia generale… Nell’edizione italiana altre competenze si possono trovare alla voce «Capitolo generale» nell’indice sistematico alla pag. 273. (Edizione a cura della Cimp Cap del 2015).

[27] Iannone F., Il Capitolo generale…, cit., p. 151. «in linea di principio si possa correttamente affermare che tutti i superiori religiosi, sia le persone fisiche che gli organi collegiali, aventi vera potestà di governo, possano esercitare potestà giudiziale nei confronti dei propri sudditi entro l’ambito della propria competenza, a norma del diritto proprio. Pertanto il capitolo generale certamente deve essere annoverato, salvo sempre disposizione contraria del diritto proprio, tra i giudici (organo giudicante) dei Religiosi»[27]

[28] Prima tale limite non era fissato e un frate poteva ricoprire tale incarico per molti più mandati consecutivamente.

[29] È bene ricordare che Il diritto di voto, di cui si parla al n. 121,6 delle Costituzioni, in caso di servizio in una circoscrizione diversa dalla propria non si esercita più in essa, ma dove si presta servizio e partendo dalla fine del primo anno di servizio (ord. 8/3,2), salvo quanto disposto per le delegazioni, i cui membri continuano ad «votare» nella circoscrizione di appartenenza.

[30] Per altre competenze cfr. edizione italiana delle nostre Costituzioni alla voce «Capitolo provinciale» nell’indice sistematico alla pag. 274-275. (Edizione a cura della CimpCap del 2015)

[31] Alcuni contenuti della potestà del custode: può ammettere al postulato, noviziato e professione, se delegato (cost. 20.1) indice e convoca il capitolo della custodia (cost. 136.3) può convocare il capitolo straordinario (cost. 136.7) può stipulare convenzioni con altri circoscrizione conferenza di superiori maggiori (cost. 138.5) può approvare statuti e norme particolari per le singole fraternità vocate oggi (ord. 12/3): cfr. edizione italiana delle nostre Costituzioni alla voce «Custode» nell’indice sistematico alla pag. 296. (Edizione a cura della CimpCap del 2015)

[32] Il Ministro provinciale (o generale) può riservare alcune facoltà a se stesso e può delegare solo quelle che sono delegabili in riferimento al diritto comune e alle nostre Costituzioni.

[33] Tra questi è significativo notare che può conferire la facoltà di ricevere le confessione dei frati per casi singoli e ad modum actum (cost. 115.1) e dispensare dalla clausura in casi urgenti e ad modum actum (ord. 6/2,3) e anche se in una fraternità vi fosse l’economo, il guardiano rimane responsabile dell’amministrazione.

[34] Ord. 8/32 stabilisce che «I presidenti delle Conferenze, convocati dal ministro generale, si riuniscano con lo stesso Ministro generale e suo Consiglio almeno ogni due anni».

Ultima modifica il Lunedì, 07 Dicembre 2020 23:58
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