Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum IT

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updated 11:54 AM UTC, Mar 20, 2024

Il modello dell’interculturalità

Eppur si muove


L’approccio all’alterità culturale va costruito secondo il modello dell’interculturalità che è completa apertura all’altro e che trova rispondenza piena nel principio: l’altro diverso da me è un altro me. Il nuovo paradigma teorico che deve articolare la conoscenza dell’altro nel contesto delle dinamiche globali e locali è quello relazionale, insomma non è più possibile conoscere senza ascoltare. Questa è la base perche si realizzi tra di noi fraternità. Fraternità perciò è un compito che si realizza nel ritrovare me nell’altro che mi accoglie e che mi restituisce a me. In questo modo mi ricevo dall’altro arricchito dal suo essere fratello mio. Dobbiamo lasciare che l’altro entri in noi, riscoprirlo, valorizzarlo e servirlo perché lui ci permette di entrare in Dio. Da qui il valore della reciprocità che rompe il muro di diffidenza e rigetto che si stabiliscono quando invece di portare amore e comunione, come Francesco insegna, ci fermiamo titubanti e dubbiosi davanti alla diversità e diffidenti ci allontaniamo. Tante volte invece di essere strumenti di pace diventiamo fonte di divisione, e questo inavvertitamente, quando nel nostro orizzonte dominano non la concordia e l’unità, ma abbagliati dall’interesse sacrifichiamo l’altro sull’altare dove si celebra solo il nostro io. Si tratta di condividere senza marginalizzare, attenti a cogliere gli improvvisi cambiamenti in atto, per mettere a fuoco insieme alle diverse concezioni religiose, il sistema sociale, le diverse tradizioni e specificità identitarie: camminare e viaggiare per confondersi e mescolarsi con la cultura locale. Si nota sempre di più nelle nostre scelte operative la predilezione per le comodità offerte dalla città e ci dimentichiamo che Dio ci aspetta nelle periferie. Eppure veniamo da una formazione dove non ci è stata risparmiata ogni nozione proveniente dalla spiritualità vissuta e ricevuta dai nostri padri nella fede e nel francescanesimo. Nelle nostre fraternità purtroppo abbonda una certa forma di schizofrenia che predilige ed esalta l’intellettualità a scapito della vita, ed il motto, seppur superato di “Parigi che uccide Assisi” diventa una tragica corsa al titolo, alla funzione, alla responsabilità ritenute fonti di gloria e di prestigio personale. Ma siamo ancora lontani dalla formazione intesa come sforzo costante di ripresentare il carisma di Francesco vivo in un mondo che aspetta e rispetta testimoni che vivono non maestri che insegnano. Il continuo navigare in questi lidi trasforma la fraternità in un museo di cere che si sciolgono al calore delle numerose incongruenze e incoerenze: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Dobbiamo insistere sulla concretezza e questo fin da tempi remoti ha contribuito a far luce su attività concrete che realizzano il carisma in luoghi ben definiti storicamente e politicamente. Insomma siamo troppo raffinati per ciò che riguarda l’intellettualità e, invece, troppo rozzi per ciò che riguarda la vita e la concretezza. Eppure, “Regola e vita del frate minore è questa: vivere ...”. Con questo divario, che poi diventa un’abitudine, pian piano spariscono le realtà essenziali e i valori della nostra vita francescano-cappuccina sostituiti da un insieme di interessi, necessità e bisogni che ci accomunano ai più ormai come sale che non ha più sapore. Ecco perché gli altri ci calpestano, perché pur non appartenendo al mondo, in pratica ne assumiamo le logiche, i comportamenti, le forme di pensare e di scegliere. Siamo ricchi in tecnicità ma poveri di umanità di gratuità e spesso incapaci di donare. Uno strumento che non ha mai perso la sua strategica importanza per risolvere queste dinamiche che ormai hanno sostituito i valori fondamentali della vita cappuccina è la formazione permanente. Ormai come frati rischiamo di atteggiarci con la solita indifferenza davanti alle direttive di chi si preoccupa di formarci. Gli argomenti proposti non ci interessano più, gli incontri programmati spariscono nell’insieme di impegni e attività che popolano il calendario sia fraterno che personale. Quando passiamo davanti alla bacheca dove vengono appese per il collo tutte le grida provenienti dai nostri amati superiori ciò che ci muove è la curiosità ma non l’interesse e... “tiremm innanz”. I superiori assillati si chiedono che cosa manca, in che cosa abbiamo sbagliato? C’è chi dice: adesso vi prendiamo noi... visto che siete così o mangiate questa minestra o saltate dalla finestra. Ma non ci si accorge che spesso domina un apprezzamento tutt’altro che benefico dell’altro, frati lo siamo per forza e in forza di ciò che abbiamo assunto, ma il percorso per diventare fratelli è lungo e insidioso. Lo stile di una certa spiritualità individuale cozza contro quello che in fraternità si esige: reciproca accoglienza. Siamo esperti e ligi ai precetti liturgici perché il Dio a cui ci dirigiamo non parla, ha occhi ma non vede, ha orecchi ma non sente e spacciamo frettolosamente i fratelli, i nostri fratelli che vorrebbero parlarci, sentirci e vederci. La prima sfida, perciò, è la fraternità. C’è un’altra costatazione da ammettere: pian piano siamo diventati degli ignoranti. Ma non è possibile... dopo anni di sacrifici per ottenere un titolo e a volte esercitando anche attività didattiche che qualcuno possa definirci come ignoranti. Eppure non serviamo più “virtute e conoscenza” ma il nostro piccolo mondo fatto di necessità e interessi ristretti. Le nostre biblioteche sono come sarcofagi chiusi che contengono libri-mummie, e quello che ha preso il sopravvento è il cellulare. Ma quello che leggiamo al cellulare non costituisce se non una cultura della superficialità. “Dammi la Sapienza che siede accanto a te in trono”! Il sapere è stato sostituito dall’interesse, e l’interesse si perde in curiosità vane che ci chiudono in sistemi che veicolano e coltivano solo il look e la superficialità.
Fuoco che brucia dentro...
Che cosa deve cambiare in noi per rispondere come cappuccini a un mondo come questo con un carisma che dovrebbe essere fuoco che brucia dentro di noi? Innanzitutto dobbiamo decentrare l’attenzione sulla propria realizzazione personale e puntarla sulla realizzazione dell’altro. Prediligere il fratello che è accanto a me ed investire sulla carità che ci fa uno. Dobbiamo riconquistare l’amore come segno profetico che ci spinge ad annunciare Gesù a tutti. Uscire a vita pubblica, dal proprio guscio, dalla nicchia che ci siamo costruiti per essere tutto a tutti. Questa è l’attrattiva dei tempi in cui viviamo, essere frati accanto agli operai, ai professori, alle casalinghe, ai grandi e ai piccoli, uomini accanto a uomini, ma con il fuoco del nostro carisma dentro che diventa luce per chi cerca, calore per chi vive senza speranza, forza per chi si trova incapace di agire. Dove trovare la forza per tutto ciò? Sostituire lo schermo della TV o del computer che fa arrossire gli occhi con l’epifania di Dio in mezzo a noi nell’Eucarestia che riscalda l’anima. Fedeli alla contemplazione nel silenzio del tabernacolo e affannati nell’attività che ci fa essere testimoni d’Infinito. Ma quale metodo dobbiamo adottare? Abbiamo dei professionisti in metodologia, sono i nostri santi. Siamo uno degli Ordini con più santi, erano appassionati di umanità e professionisti d’intimità. Dobbiamo ricuperare una dinamica efficace tra il dentro della vita conventuale e il fuori della vita apostolica. Assetati di divino e appassionati di umanità. Da qui la novità che ci dovrebbe rendere sale della terra e luce del mondo. Quale strategia scegliere per coinvolgere i nostri fratelli ed appassionarli a questo ideale? Guardare in alto e puntare in alto, sapendo che dalle nostre mani dipende la gioia e la speranza di tanti uomini e donne che passano vicino a noi, ci sfiorano, camminano racchiusi nelle loro preoccupazioni e cercano in noi una risposta. Vivere dentro ancorati a Dio, essere fuori in estasi tutti parola vissuta. Racchiuderci nella nostra cella per poi contemplar Gesù nell’umanità in cui siamo immersi. E questo farà bene anche a noi, alla cosiddetta crisi di identità, alla perdita di significato e a tante altre magagne che frenano e fermano il nostro andare. Ecco perciò dove investire nella formazione: professionisti di umanità e innamorati di Dio.
Fra. Gabrielle Bortolami Ofm Cap
Su Fra Gabriele Bortolami

Fra Gabriele Bortolami, frate cappuccino, nonché docente di antropologia presso l’università pubblica Agostinho Neto, in Angola da circa 35 anni, grande conoscitore del mondo dei Bakongo, e di numerose lingue locali.
P. Gabriele Bortolami, Religioso Cappuccino della Provincia di Angola di “Santa Maria dos Anjos”, è nato a Roncaglia (Padova) il 10 Luglio 1956. Ordinato sacerdote nel 1982, alla tenera età di 27 anni venne inviato dai superiori di allora nella missione dei Cappuccini Veneti in Angola, il famoso “cimitero dei Cappuccini” elevata a Provincia nel 2017.
A motivo di una incredibile abilità filologica e a una salute “di ferro”, P. Bortolami riuscì in poco tempo a imparare le più difficili lingue locali quali il Kikongo, l’Umbundo, delle quali ha rispettivamente redatto anche due preziosi dizionari sulla scia del suo Maestro P. Raffaele Del Fabbro OFM Cap., pure missionario in Angola. Durante l’atroce guerra civile tra il Governo di Luanda e il leader dell’opposizione dell’ “UNITA”, il generale Jonas Savimbi, dove persero la vita molti Cappuccini Veneti e vari seminaristi angolani, nel 1984 P. Gabriele, gambizzato con 7 pallottole, fu fatto prigioniero per 7 anni (1991) dalla stessa organizzazione UNITA di Savimbi, con la quale, però, decise di restare per assistere i numerosi cattolici “governati” dall’opposizione. Quel suo gesto eroico e profondamente “cristiano”, che lo portò fino all’estremo confine Sud dell’Angola (Provincia di Moxico) però isolato da qualsiasi possibilità di comunicazione con i Cappuccini di Venezia e perfino con i propri familiari, compresi la mamma e il babbo. Definire quel periodo “drammatico” è puro turismo. Nessuno sapeva se il ventinovenne


Grazie di cuore a Fra Gabrielle Bortolame e a fra Joaquim Hangalo per i materiali forniti

=>Continua nel sito www.sgfcap.org

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